Riporto in questo spazio il mio contributo dal titolo Le
personificazioni dell’Estate apparso su Il liofante, periodico della Pro Loco di Colli del Tronto, del giugno 2016. La versione qui presentata è leggermente modificata rispetto all'originale.
Spesso i poeti descrivono il tempo che scorre scandendo la successione cronologica delle
quattro stagioni, ciascuna delle quali viene connotata con la sua
caratteristica principale.
Lo scrittore latino Lucrezio (I sec. a.C.) celebra nel De rerum Natura il
ritorno della Primavera nel famoso Inno a Venere posto all’inizio del suo poema
didascalico. Va preso però in esame un altro luogo lucreziano: si tratta del
libro V dedicato alla storia del mondo, dell’umanità e del progresso. In un
passaggio veloce l’autore parla del susseguirsi delle Stagioni. Egli scrive che
dopo la Primavera giunge il “Calor aridus”, il “Calore arido”, fuor di
metafora, l’Estate. Spesso gli antichi definivano arida questa stagione per
l’eccessivo calore che la contrassegna. Il
nostro termine “estate” , infatti, deriva dal termine latino “aestas”, connesso con il sostantivo “aestus” che vuol dire “bollore,
calore” e con il verbo “aestuo” che esprime il “riscaldarsi per l’agitazione”. L’estate
è la stagione del caldo...
Qualcosa di simile si ha anche
nelle Metamorfosi di Ovidio. Ovidio è
un poeta latino che vive tra il I sec. a.C. e il I d. C. Le Metamorfosi costituiscono un’opera epica
in cui l'autore parla delle trasformazioni di cui sono protagonisti vari
personaggi mitologici. Nel secondo libro egli, in un rapido bozzetto delle
Quattro Stagioni, descrive così l’Estate: “Stabat nuda Aestas, et spicea serta gerebat” , “l’Estate stava in piedi nuda
e portava in mano delle corssone di spighe intrecciate”. Si nota innanzitutto la
personificazione dell’Estate, còlta, da un lato nella sua nuda sensualità, dall’altro
nella sua generosità e fertilità. Si capisce così che, forse, l’ esibizione del
corpo nudo di questa donna è essa stessa simbolo di fertilità.
Anche per noi, del resto,
l’estate è la stagione per eccellenza della sensualità perché la leggerezza dei
vestiti indossati in questa stagione lascia trasparire molto del nostro corpo;
ma l’estate è anche la stagione per eccellenza ricca di frutti, quindi è simbolo
dell’abbondanza. A questo verso ovidiano si è ispirato Gabriele D’Annunzio,
poeta dell’Estetismo decadente. Più precisamente lo scrittore pescarese deve aver
guardato al suo conterraneo (Ovidio nacque a
Sulmona) durante la composizione della poesia intitolata, non a caso, Stabat nuda aestas, contenuta
all’interno della sua famosissima raccolta Alcyone.
Chiudo questo mio intervento augurandovi buona estate e lasciandovi qui sotto i
sensualissimi versi dannunziani:
Primamente intravidi il
suo piè stretto
scorrere su er gli aghi
arsi dei pini
ove estuava l'aere con
grande
tremito, quasi bianca
vampa effusa.
Le cicale si tacquero. Più
rochi
si fecero i ruscelli.
Copiosa
la resina gemette giù
pe'fusti.
Riconobbi il colùbro dal
sentore.
Nel bosco degli ulivi la
raggiunsi.
Scorsi l'ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei
fulvi
nell'argento pallàdio trasvolare
senza suono. Più lunghi nella
stoppia,
l'allodola balzò dal solco raso,
la chiamò, la chiamò per nome in
cielo.
Allora anch'io per nome la
chiamai.
Tra i leandri la vidi che si
volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi
strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la
paglia
marina il piede le si tolse in
fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e
l'acque.
Il ponente schiumò nei sui
capegli.
Immensa apparve , immensa nudità.
Ad
maiora e buona estate.
Filomena Gagliardi
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