martedì 1 agosto 2017

Scritture sull'estate



Riporto in questo spazio il mio contributo dal titolo Le personificazioni dell’Estate apparso su Il liofante, periodico della Pro Loco di Colli del Tronto, del giugno 2016. La versione qui presentata è leggermente modificata rispetto all'originale.

Spesso i poeti descrivono il tempo che scorre scandendo la successione cronologica delle quattro stagioni, ciascuna delle quali viene connotata con la sua caratteristica principale.
 Lo scrittore latino Lucrezio (I sec. a.C.)  celebra nel De rerum Natura il ritorno della Primavera nel famoso Inno a Venere posto all’inizio del suo poema didascalico. Va preso però in esame un altro luogo lucreziano: si tratta del libro V dedicato alla storia del mondo, dell’umanità e del progresso. In un passaggio veloce l’autore parla del susseguirsi delle Stagioni. Egli scrive che dopo la Primavera giunge il “Calor  aridus”, il “Calore arido”, fuor di metafora, l’Estate. Spesso gli antichi definivano arida questa stagione per l’eccessivo calore che la contrassegna. Il nostro termine “estate” , infatti, deriva dal termine latino “aestas”, connesso con il  sostantivo “aestus” che vuol dire “bollore, calore” e con il verbo “aestuo” che esprime il “riscaldarsi per l’agitazione”. L’estate è la stagione del caldo...


Qualcosa di simile si ha anche nelle Metamorfosi di Ovidio. Ovidio è un poeta latino che vive tra il I sec. a.C. e il I d. C. Le Metamorfosi costituiscono un’opera epica in cui l'autore parla delle trasformazioni di cui sono protagonisti vari personaggi mitologici. Nel secondo libro egli, in un rapido bozzetto delle Quattro Stagioni, descrive così l’Estate: “Stabat nuda Aestas, et spicea  serta gerebat” , “l’Estate stava in piedi nuda e portava in mano delle corssone di spighe intrecciate”. Si nota innanzitutto la personificazione dell’Estate, còlta, da un lato nella sua nuda sensualità, dall’altro nella sua generosità e fertilità. Si capisce così che, forse, l’ esibizione del corpo nudo di questa donna è essa stessa simbolo di fertilità.
Anche per noi, del resto, l’estate è la stagione per eccellenza della sensualità perché la leggerezza dei vestiti indossati in questa stagione lascia trasparire molto del nostro corpo; ma l’estate è anche la stagione per eccellenza ricca di frutti, quindi è simbolo dell’abbondanza. A questo verso ovidiano si è ispirato Gabriele D’Annunzio, poeta dell’Estetismo decadente. Più precisamente lo scrittore pescarese deve aver guardato al suo conterraneo (Ovidio nacque a  Sulmona) durante la composizione della poesia intitolata, non a caso, Stabat nuda aestas, contenuta all’interno della sua famosissima raccolta Alcyone. Chiudo questo mio intervento augurandovi buona estate e lasciandovi qui sotto i sensualissimi versi dannunziani:

Primamente intravidi il suo piè stretto
scorrere su er gli aghi arsi dei pini
ove estuava l'aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa.
Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la resina gemette giù pe'fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore.

Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.
Scorsi l'ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei fulvi
nell'argento pallàdio trasvolare
senza suono. Più lunghi nella stoppia,
l'allodola balzò dal solco raso,
la chiamò, la chiamò per nome in cielo.
Allora anch'io per nome la chiamai.

Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina il piede le si tolse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l'acque.
Il ponente schiumò nei sui capegli.
Immensa apparve , immensa nudità.

Ad maiora e buona estate.
Filomena Gagliardi





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