mercoledì 18 marzo 2015

Giornate di Primavera del Fai (21-22 Marzo 2015)

In occasione delle prossime Giornate di Primavera del Fai (21-22 marzo 2015) riporto in questa sede un mio contributo  apparso su il Liofante, periodico della Pro Loco di Colli del Tronto, nel febbraio 2013.

La Bella Italia


L’Italia è il paese del Bello. Da sempre, si sa. Clima, paesaggio, opere d’arte: un cocktail ideale per rendere il cittadino felice. Ideale non nel senso di utopico, ma nel senso di adatto, capace, realizzabile. E il cittadino felice rende felice la città, così come la città felice rende tale il cittadino. Già Aristotele la intendeva così.

Quindi idealmente l’Italia, per sua stessa inclinazione naturale, è portata a rendere felice il cittadino. Felice significa soddisfatto, pieno, che non manca di nulla alla realizzazione della propria essenza, fatta di razionalità e di sentimento. E questa è la cultura. Cultura deriva da colere, che significava in prima istanza venerare, ma anche coltivare la terra, e poi coltivare se stessi. La cultura, dunque, è compartecipazione di natura e uomo, ecco perché la natura stessa dell’Italia non basta a rendere felice il cittadino, deve intervenire l’uomo, lo Stato.

L’Italia ha perso la sua vocazione naturale alla cultura da tempo: da quando il sole della speranza e del domani si è raffreddato, da quando gli uomini non  assecondano la natura italica, del  bello!

Ecco allora crollare antichi monumenti dei romani, e insieme ad essi il destino della civiltà.

Perché la tutela della cultura implica un impegno. Ma la cultura non ha a che fare con la coltura, pur derivando entrambe dalla stessa radice etimologica e semantica. Si può spendere per coltivare un prodotto che mangerò (agricoltura), ma non per restaurare un sito archeologico che potrò solo ammirare.

Non ho niente contro l’agricoltura, anzi penso che essa possa contribuire alla salvaguardia della cultura italiana in senso lato; il mio esempio voleva solo richiamare la prassi, purtroppo in uso, di lasciare decadere ciò che non ha un valore concreto.

È nota la consueta distinzione tra tre settori dello sviluppo economico in primario, secondario, e terziario, rispettivamente agricoltura, industria e turismo.

Con una provocatoria traslazione di senso, ma poi neanche di tanto, vorrei far notar come quello che convenzionalmente viene chiamato settore terziario dovrebbe essere invece assunto come settore primario. Perché se primario indica, in economia, ciò che concerne la produzione di ciò è primario per la stesa sussistenza biologica, il cibo, primario può, in senso traslato assurgere alla produzione di ciò che è primario per la sussistenza del logos umano, essenza stessa dell’umanità, quando la si consideri al di là del suo essere animale; primario per l’umanità è il logos, inteso come un insieme di facoltà che realizzano la cultura; primario è il turismo come attività che consente la tutela  e lo sviluppo della cultura, concetto ampio che accoglie anche quello agricolo, ma anche quello di tutto ciò che implica formazione del cittadino.

E allora l’Italia, considerando primario il turismo, dovrebbe cambiare prospettiva. Non dire più che conservare il ricco patrimonio di cui è erede è una spesa che non ci può permettere, ma dire invece che è l’unica spesa dalla quale non si può essere esenti.

Ogni anno numerosissimi stranieri colonizzano l’Italia, dalle città tradizionalmente vocate al turismo ai piccoli centri, gioielli sempre più competitivi.

Se tutte le risorse economiche, invece di essere convogliate verso attività falsamente ludico-sportive, o verso la realizzazione di una cultura di massa sempre più volgare e  superficiale, venissero dedicate ad educare i cittadini, fin da piccoli, a considerare come belli  i musei e i parchi che hanno nella loro città, allora nessuno di noi sentirebbe la cultura come un peso da cui liberarci. Si dovrebbe insegnare alle generazioni che lo studio della storia dell’arte è un gioco, un vero gioco; si dovrebbero incrementare le strutture ricettive atte ad accogliere i turisti; ogni sindaco dovrebbe la domenica portare a spasso in città i propri cittadini, e fare loro da Cicerone. Si dovrebbe investire in una politica che, abrogando la continua cementificazione che sta rendendo brutto il nostro paese, ricicli il più possibile i copiosi palazzi antichi che il bel paese ha ereditato dal passato. Non c’è niente che, seppure in modi e forme diverse, non possa tornare in vita!

Dovrebbe nascere un nuovo partito del Bello, e programmi elettorali tesi solo alla realizzazione e conservazione del Bello; ci dovrebbe essere un nuovo Illuminismo, ma di impronta liberal-democratica. Si dovrebbe governare rispettando l’essenza dell’Italia, ovvero la Bellezza.

Bisognerebbe costruire piste ciclabili e pedonali percorrendo le quali i cittadini,  possano combattere la sedentarietà e ammirare il Bello che li circonda; bisognerebbe aprire fonti d’acqua ovunque, con cui estinguere ovunque la sete; i maestri dovrebbero fare lezioni nei parchi, all’aperto, restaurando una nuova scuola peripatetica. Collaborando, politici, uomini di cultura e scienza, dovrebbero realizzare quell’ idea di mens sana in corpore sano, nei cittadini e nella città tutta.

Si dovrebbero incrementare le risorse elettroniche al fine di rendere democratica e partecipate l’informazione culturale e si dovrebbe investire nella potenza della pubblicità, in modo da piegare al Bene il suo grande potere persuasivo. Gli uomini che lavorano nella comunicazione, dovrebbero lavorare in vista dell’onestà, cercando di proporre messaggi accattivanti, concernenti il Bello. Le campagne pubblicitarie, così intese, potrebbero davvero configurarsi come pubblicità-progresso.

L’Italia deve affidarsi ad una nuova classe, quella del Bello, valore universale di cultura e di sviluppo. Solo così, investendo nella scuola, nell’università e in tutti i percorsi formativi paralleli ad essi, l’Italia potrà realizzare se stessa, ovvero la sue Bellezza, che è cultura.


Filomena Gagliardi



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