giovedì 6 dicembre 2018

Melanconia e genio

Pubblico in questa sede il mio contributo   Malinconia e genio in Aristotele apparso sulla rivista Qui Libri (settembre ottobre 2018)



«Nelle corde del petto spira profonda malinconia» (Novalis, Primo Inno alla Notte)

Il dizionario etimologico Nocentini, alle voci malinconia/melanconico (p. 660) rimanda a melancolia, lemma ripreso e spiegato successivamente (p. 691) nelle sue trasformazioni melancolia/melanconia/malinconia (A. Nocentini, L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 2010). Anche Pianigiani (O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana I Dioscuri, Genova 1988) spiega malinconia (p. 797) come termine «comunemente detto per Melanconia o Melancolia […] alterato il primo elemento della parola per attrazione della voce Màlo = cattivo». Coerentemente affianca alla forma melanconia anche la forma melancolia, illustrandone poi etimologia e significato per poi concludere, a mio avviso giustamente: «Veramente dovrebbe dirsi Melancolía» (p. 834). Infatti sia melanconia che malinconia trovano la loro origine nel termine tardo latino melancholīa e, ancor prima, nella voce greca melancholía, composto dall’aggettivo melas, nero, e dal sostantivo chole, bile, bile nera alla lettera; suggerisce ancora Pianigiani «umor nero» (p. 797). Altri traducono con atrabile (latino atra bilis). Dopo la breve ricostruzione etimologica di melanconia qui fornita, si tratta di capire meglio cosa essa fosse nel mondo greco. È imprescindibile il saggio Saturno e la melanconia (R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, tr. it.di R. Federici, Einaudi, 1983 Torino) soprattutto il capitolo sulla cosiddetta dottrina dei quattro umori, utile per ripercorrere radici ed evoluzione di questa concezione fondamentale dell’antichità. Rielaborando queste pagine, lascerò al lettore la consultazione del resto del volume incentrato, come da titolo, solo su uno dei quattro umori. La tradizione filosofica greca elabora, già in una fase cronologicamente alta, la teoria predetta. Essa fu preparata dai Pitagorici, sviluppata da Empedocle, modificata e raffinata da vari emendamenti successivi su cui non mi soffermerò in questa sede. Il punto centrale della teoria è che ciascuno dei quattro umori (sangue, bile gialla, bile nera, flegma) imiterebbe uno dei quattro elementi naturali (rispettivamente aria, fuoco, terra, acqua); sarebbe inoltre prevalente in una stagione (nell’ordine primavera, estate, autunno, inverno) e infine risulterebbe dotato di una qualità (caldo e umido, caldo e secco, freddo e secco, freddo e umido). Presupponendo una perfetta corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, se ne deduceva che la salute di un individuo e il suo carattere coincidessero con una adeguata mescolanza (meixis) dei quattro umori, tale che essi e i loro effetti si neutralizzassero a vicenda. Tuttavia, poiché di fatto in ognuna delle stagioni si verificava la prevalenza di una certa condizione climatica, nonché la prevalenza di una certa qualità e dunque, per riflesso, di uno dei quattro umori, era ovvio che la salute e/o una condizione psicologica “perfetta” restavano un ideale. Pertanto si giunse alla conclusione che, se il modello della perfetta salute era solo avvicinabile, la prevalenza di una certa qualità poteva favorire la predisposizione ad una patologia (fisica e mentale), ma non necessariamente determinarla: vale a dire che si stava pressoché bene ugualmente. Dei quattro umori, la bile nera fu quello che –ad un certo punto– cominciò ad essere visto come causa di alterazioni psico-fisiche, se non di patologie vere e proprie, ad esempio la pazzia. Considerata nel IV secolo come la “malattia degli eroi” (per effetto della tragedia) e associata al furore con una connotazione se non del tutto negativa, certamente ambigua (per effetto del pensiero platonico), fu solo nella filosofia aristotelica che essa divenne anche la “malattia” degli uomini di ingegno. Si dovrebbe parlare di filosofia pseudo-aristotelica, in quanto l’associazione melanconia-ingegno è tipica dei Problemata physica. Trattandosi di uno degli oggetti della mia ricerca, mi spiace doverlo affrontare qui in modo cursorio. I Problemata physica sono dunque una raccolta di trenta sezioni, ciascuna riguardante una questione di natura fisica. Ogni sezione è suddivisa in vari testi ‒i singoli problemi‒ ognuno dei quali strutturato in domanda e risposta, anche quest’ultima spesso in forma di domanda. Attribuiti fin dall’antichità allo Stagirita, essi sono in realtà il frutto di un’opera derivante da diversi strati compositivi, in cui confluiscono Problemata scritti autenticamente dal maestro e/o dai suoi discepoli e Problemata scritti dopo la sua morte (322 a.C.) fino ai primi secoli della nostra era: per alcuni studiosi fino al II sec. d.C. per altri fino al IV, per altri ancora fino al VI. I lunghi secoli di gestazione hanno favorito una partecipazione variegata alla stesura, continui adattamenti e tagli, nonché l’infiltrazione di materiale non originario. L’esito è un elaborato ampio, molteplice e non sempre coerente, pur nella sua sostanziale unitarietà strutturale. I Problemata a noi giunti constano di materiale proveniente dalla dottrina genuinamente aristotelica, materiale di autori medici come Ippocrate e Galeno, e infine materiale di scuole filosofiche non aristoteliche. Essi pertanto, nella forma complessiva attuale, non sono aristotelici se con questo aggettivo si intende in senso stretto “scritti da Aristotele”; ciononostante restano aristotelici i temi trattati, per quanto spesso presentati in una forma banalizzata rispetto alla complessità e alla profondità dell’impianto del maestro. Fatta questa doverosa precisazione è possibile ora focalizzare l’attenzione sul primo problema della sezione XXX intitolata Ragione, Mente, Sapienza. Per l’intera sezione si rinvia sia all’edizione complessiva di Ferrini con testo originale, traduzione e commento (Aristotele. I Problemi, a cura di M. F. Ferrini, Bompiani; Milano 2002), sia all’edizione dedicata solo alla predetta sezione da parte di Carbone, anch’essa con testo greco, traduzione e commento (Aristotele, Problema XXX, a cura di A. L. Carbone, Due Punti, Palermo 2009). Per il primo problema, concernente proprio la malinconia, oltre al capitolo di Saxl, KIibansky e Panofsky sopra citato, risulta prezioso il lavoro di Angelino e Salvenchi, un volumetto con testo, traduzione, commento del primo Problema (Aristotele, La “melanconia” dell’uomo di genio a cura di C.Angelino e E. Salvenchi, Il Melangolo, Genova 1981). Ebbene il nostro (Pseudo-)Aristotele esordisce chiedendosi perché tutti coloro che eccellono nella filosofia, nella politica, nelle poesia e nelle arti siano malinconici. Non soltanto gli eroi, ma anche gli uomini di ingegno sembrano posseduti dall’umore nero che agisce sulla componente psico-fisica dei soggetti. Affermare che Empedocle, Platone, Socrate fossero di temperamento malinconico significa porre il vertice assoluto dell’umanità, la filosofia per l’appunto, in stretto contatto con tale inclinazione. Ciò implicitamente presuppone una “rivisitazione” del concetto stesso di malinconia. Considerata infatti come una sorta di patologia, sovrapponibile alla pazzia non solo da Platone (come visto sopra) ma anche dall’Aristotele dell’Etica Nicomachea, nel problema essa diventa una condizione fisiologica che, a seconda della sua gradazione, può produrre diversi effetti. Non è questo di per sé un elemento a favore di chi sostiene l’inautenticità dei Problemata perché incoerenze di questo tipo (diversa valutazione di un medesimo fenomeno) sono presenti anche all’interno delle opere autentiche. D’altra parte però, la prospettiva fisiologica assunta nei problemi apre ad una valutazione asettica e non moralistica del fatto esaminato. E così il nostro autore, descrivendo una serie di casi realmente osservati, mostra che gli effetti prodotti negli uomini dalla bile nera dipendono dalla sua quantità e dalla sua temperatura. Essa infatti per natura è fredda e può sia raffreddarsi ulteriormente che scaldarsi: e così gli individui in cui è troppa e troppo fredda patiranno uno stato di paralisi, torpore, scoraggiamento; quelli invece in cui la bile è non solo eccessiva in quantità ma anche eccessivamente calda, saranno coraggiosi, fuori di sé, e di sentimenti simili. Quando però tale sostanza raggiunge una quantità e una temperatura equilibrate, l’’individuo esprime il meglio di sé perché riesce ad innalzare il proprio ingegno nella giusta misura, senza esagerare: questa è la condizione dell’eccellenza in cui l’uomo ha l’energia giusta per realizzare al meglio il proprio talento senza però rischiare di spegnersi all’improvviso. Tale condizione, tuttavia, anche quando naturale, vive di precarietà: infatti colui che naturalmente è malinconico nelle giuste proporzioni rischia sempre di diventare troppo malinconico per effetto di elementi esterni in grado di influenzarne la costituzione. Fra questi è particolarmente potente il vino capace di scaldare un soggetto rendendolo troppo agitato; se invece il soggetto è già piuttosto “caldo”, il vino, per effetto dell’antiperistasis, lo raffredda inducendolo ad una malinconia fredda, declinata come apatia, torpore, depressione. Spicca per forza esemplificativa l’accostamento tra vino ed eros da cui si evince inoltre che vino e bile nera sono infiammabili in quanto dotati entrambi di aria che, con il calore, si espande: pertanto sono schiumosi sia il vino che l’atra bilis presente nello sperma emesso durante l’atto sessuale: «per questo» deduce l’autore «il vino è afrodisiaco e a ragione Dioniso e Afrodite sono detti reciprocamente legati». Seppur labile dunque, un temperamento stabilmente malinconico al punto giusto, è tipico di persone eminenti. A siffatta conclusione, riepilogata in modo tanto brillante quanto rigoroso, giunge il nostro autore cosicché, se l’incipit presentava l’osservazione che tipi eccezionali sono malinconici, il finale del problema perviene alla certezza che i malinconici sono eccelsi non per patologia, ma per natura. In quanto tratto peculiare dell’eccellenza, la malinconia viene ipso facto riabilitata.



Fritz. Saxl, Erwin Panofsky, Raymond Klibansky, Saturno e la melanconia,. Einaudi, , pp. 401, € 50,00

Aristotele. I Problemi, Bompiani, pp. 611, € 13.50

Aristotele, Problema XXX,  Due Punti, pp. 88, € 9.00

Aristotele, La “melanconia” dell’uomo di genio, Il Melangolo, pp. 52, €5.00

Novalis, Inni alla Notte. Canti Spirituali, Mondadori, pp.166, € 6.40






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