«Nelle corde del petto spira profonda malinconia» (Novalis, Primo Inno alla Notte)
Il dizionario etimologico Nocentini,
alle voci malinconia/melanconico (p. 660) rimanda a melancolia, lemma ripreso e
spiegato successivamente (p. 691) nelle sue trasformazioni melancolia/melanconia/malinconia
(A. Nocentini, L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Le
Monnier, Firenze 2010). Anche Pianigiani (O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della
lingua italiana I Dioscuri, Genova 1988) spiega malinconia (p. 797) come termine
«comunemente detto per Melanconia o Melancolia […] alterato il primo elemento
della parola per attrazione della voce Màlo = cattivo». Coerentemente affianca
alla forma melanconia anche la forma melancolia, illustrandone poi etimologia e
significato per poi concludere, a mio avviso giustamente: «Veramente dovrebbe
dirsi Melancolía» (p. 834). Infatti sia melanconia che malinconia trovano la
loro origine nel termine tardo latino melancholīa
e, ancor prima, nella voce greca melancholía,
composto dall’aggettivo melas, nero,
e dal sostantivo chole, bile, bile nera
alla lettera; suggerisce ancora Pianigiani «umor nero» (p. 797). Altri traducono
con atrabile (latino atra bilis). Dopo la breve ricostruzione etimologica
di melanconia qui fornita, si tratta
di capire meglio cosa essa fosse nel mondo greco. È imprescindibile il saggio Saturno e la melanconia (R. Klibansky, E.
Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia,
tr. it.di R. Federici, Einaudi, 1983 Torino) soprattutto il capitolo sulla cosiddetta
dottrina dei quattro umori, utile per ripercorrere radici ed evoluzione di questa
concezione fondamentale dell’antichità. Rielaborando queste pagine, lascerò al
lettore la consultazione del resto del volume incentrato, come da titolo, solo
su uno dei quattro umori. La tradizione filosofica greca elabora, già in una
fase cronologicamente alta, la teoria predetta. Essa fu preparata
dai Pitagorici, sviluppata da Empedocle, modificata e raffinata da vari
emendamenti successivi su cui non mi soffermerò in questa sede. Il punto
centrale della teoria è che ciascuno dei quattro umori (sangue, bile gialla,
bile nera, flegma) imiterebbe uno dei quattro elementi naturali
(rispettivamente aria, fuoco, terra, acqua); sarebbe inoltre prevalente in una
stagione (nell’ordine primavera, estate, autunno, inverno) e infine
risulterebbe dotato di una qualità (caldo e umido, caldo e secco, freddo e
secco, freddo e umido). Presupponendo una perfetta corrispondenza tra
macrocosmo e microcosmo, se ne deduceva che la salute di un individuo e il suo
carattere coincidessero con una adeguata mescolanza (meixis) dei
quattro umori, tale che essi e i loro effetti si neutralizzassero a vicenda. Tuttavia,
poiché di fatto in ognuna delle stagioni si verificava la prevalenza di una
certa condizione climatica, nonché la prevalenza di una certa qualità e dunque,
per riflesso, di uno dei quattro umori, era ovvio che la salute e/o una
condizione psicologica “perfetta” restavano un ideale. Pertanto si giunse alla
conclusione che, se il modello della perfetta salute era solo avvicinabile, la prevalenza
di una certa qualità poteva favorire la predisposizione ad una patologia (fisica
e mentale), ma non necessariamente determinarla: vale a dire che si stava
pressoché bene ugualmente. Dei quattro umori, la bile nera fu quello che –ad un
certo punto– cominciò ad essere visto come causa di alterazioni psico-fisiche,
se non di patologie vere e proprie, ad esempio la pazzia. Considerata nel IV
secolo come la “malattia degli eroi” (per effetto della tragedia) e associata
al furore con una connotazione se non del tutto negativa, certamente ambigua
(per effetto del pensiero platonico), fu solo nella filosofia aristotelica che
essa divenne anche la “malattia” degli uomini di ingegno. Si dovrebbe parlare di
filosofia pseudo-aristotelica, in quanto l’associazione melanconia-ingegno è tipica
dei Problemata physica. Trattandosi
di uno degli oggetti della mia ricerca, mi spiace doverlo affrontare qui in
modo cursorio. I Problemata physica
sono dunque una raccolta di trenta sezioni, ciascuna riguardante una questione
di natura fisica. Ogni sezione è suddivisa in vari testi ‒i singoli problemi‒ ognuno dei quali strutturato
in domanda e risposta, anche quest’ultima spesso in forma di domanda.
Attribuiti fin dall’antichità allo Stagirita, essi sono in realtà il frutto di un’opera derivante da
diversi strati compositivi, in cui confluiscono Problemata scritti autenticamente
dal maestro e/o dai suoi discepoli e Problemata scritti dopo la sua
morte (322 a.C.) fino ai primi secoli della nostra era: per alcuni studiosi
fino al II sec. d.C. per altri fino al IV, per altri ancora fino al VI. I lunghi
secoli di gestazione hanno favorito una partecipazione variegata alla stesura, continui
adattamenti e tagli, nonché l’infiltrazione di materiale non originario.
L’esito è un elaborato ampio, molteplice e non sempre coerente, pur nella sua
sostanziale unitarietà strutturale. I Problemata
a noi giunti constano di materiale proveniente dalla dottrina genuinamente
aristotelica, materiale di autori medici come Ippocrate e Galeno, e infine
materiale di scuole filosofiche non aristoteliche. Essi pertanto, nella forma
complessiva attuale, non sono aristotelici se con questo aggettivo si intende
in senso stretto “scritti da Aristotele”; ciononostante restano aristotelici i
temi trattati, per quanto spesso presentati in una forma banalizzata rispetto
alla complessità e alla profondità dell’impianto del maestro. Fatta questa
doverosa precisazione è possibile ora focalizzare l’attenzione sul primo problema della sezione XXX intitolata Ragione,
Mente, Sapienza. Per l’intera sezione si rinvia sia all’edizione complessiva
di Ferrini con testo originale, traduzione e commento (Aristotele. I Problemi, a cura di M. F. Ferrini,
Bompiani; Milano 2002), sia all’edizione dedicata solo alla predetta sezione da
parte di Carbone, anch’essa con testo greco, traduzione e commento (Aristotele,
Problema XXX, a cura di A. L. Carbone, Due Punti, Palermo 2009).
Per il primo problema, concernente proprio la malinconia, oltre al capitolo di
Saxl, KIibansky e Panofsky sopra citato, risulta prezioso il lavoro di Angelino
e Salvenchi, un volumetto con testo, traduzione, commento del primo Problema (Aristotele, La “melanconia” dell’uomo di genio a cura di C.Angelino e E.
Salvenchi, Il Melangolo, Genova 1981). Ebbene il nostro (Pseudo-)Aristotele esordisce
chiedendosi perché tutti coloro che eccellono nella filosofia, nella politica,
nelle poesia e nelle arti siano malinconici. Non soltanto gli eroi, ma anche
gli uomini di ingegno sembrano posseduti dall’umore nero che agisce sulla
componente psico-fisica dei soggetti. Affermare che Empedocle, Platone, Socrate
fossero di temperamento malinconico significa porre il vertice assoluto
dell’umanità, la filosofia per l’appunto, in stretto contatto con tale
inclinazione. Ciò implicitamente presuppone una “rivisitazione” del concetto
stesso di malinconia. Considerata infatti come una sorta di patologia,
sovrapponibile alla pazzia non solo da Platone (come visto sopra) ma anche dall’Aristotele
dell’Etica Nicomachea, nel problema essa
diventa una condizione fisiologica che, a seconda della sua gradazione, può
produrre diversi effetti. Non è questo di per sé un elemento a favore di chi
sostiene l’inautenticità dei Problemata perché
incoerenze di questo tipo (diversa valutazione di un medesimo fenomeno) sono
presenti anche all’interno delle opere autentiche. D’altra parte però, la prospettiva
fisiologica assunta nei problemi apre ad una valutazione asettica e non moralistica
del fatto esaminato. E così il nostro autore, descrivendo una serie di casi realmente
osservati, mostra che gli effetti prodotti negli uomini dalla bile nera
dipendono dalla sua quantità e dalla sua temperatura. Essa infatti per natura è
fredda e può sia raffreddarsi ulteriormente che scaldarsi: e così gli individui
in cui è troppa e troppo fredda patiranno uno stato di paralisi, torpore,
scoraggiamento; quelli invece in cui la bile è non solo eccessiva in quantità
ma anche eccessivamente calda, saranno coraggiosi, fuori di sé, e di sentimenti
simili. Quando però tale sostanza raggiunge una quantità e una temperatura equilibrate,
l’’individuo esprime il meglio di sé perché riesce ad innalzare il proprio
ingegno nella giusta misura, senza esagerare: questa è la condizione
dell’eccellenza in cui l’uomo ha l’energia giusta per realizzare al meglio il
proprio talento senza però rischiare di spegnersi all’improvviso. Tale
condizione, tuttavia, anche quando naturale, vive di precarietà: infatti colui
che naturalmente è malinconico nelle giuste proporzioni rischia sempre di
diventare troppo malinconico per effetto di elementi esterni in grado di
influenzarne la costituzione. Fra questi è particolarmente potente il vino
capace di scaldare un soggetto rendendolo troppo agitato; se invece il soggetto
è già piuttosto “caldo”, il vino, per effetto dell’antiperistasis, lo raffredda inducendolo ad una malinconia fredda, declinata
come apatia, torpore, depressione. Spicca per forza esemplificativa l’accostamento
tra vino ed eros da cui si evince inoltre
che vino e bile nera sono infiammabili in quanto dotati entrambi di aria che,
con il calore, si espande: pertanto sono schiumosi sia il vino che l’atra bilis presente nello sperma emesso durante
l’atto sessuale: «per questo» deduce l’autore «il vino è afrodisiaco e a
ragione Dioniso e Afrodite sono detti reciprocamente legati». Seppur labile
dunque, un temperamento stabilmente malinconico al punto giusto, è tipico di
persone eminenti. A siffatta conclusione, riepilogata in modo tanto brillante
quanto rigoroso, giunge il nostro autore cosicché, se l’incipit presentava l’osservazione che tipi eccezionali sono malinconici,
il finale del problema perviene alla certezza che i malinconici sono eccelsi
non per patologia, ma per natura. In quanto tratto peculiare dell’eccellenza,
la malinconia viene ipso facto
riabilitata.
Fritz. Saxl, Erwin Panofsky,
Raymond Klibansky, Saturno e la melanconia,. Einaudi, ,
pp. 401, € 50,00
Aristotele. I Problemi, Bompiani, pp. 611, €
13.50
Aristotele, Problema XXX, Due Punti, pp. 88, € 9.00
Aristotele, La
“melanconia” dell’uomo di genio, Il Melangolo, pp. 52, €5.00
Novalis, Inni alla Notte. Canti Spirituali,
Mondadori, pp.166, € 6.40
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